Achille Funi, Giochi atletici italiani (opera distrutta, 1933)
Come Preludi della guerra di Corrado Cagli (1933), anche Giochi atletici italiani di Achille Funi fu un’opera murale eseguita per la V Triennale del 1933, allestita a Milano presso il Palazzo dell’Arte di Muzio. Dipinta nel Salone delle Cerimonie, a pian terreno, occupò un posto di evidente importanza all’interno del programma iconografico e decorativo della manifestazione, che doveva ruotare attorno alla glorificazione dell’Italia fascista. Suddivisa in due registri, Giochi atletici raffigurava gli sport dell’antichità in quello inferiore e quelli moderni nella parte superiore. Concepita per un allestimento temporaneo, la pittura andò distrutta dopo la manifestazione, come le altre decorazioni della stessa sala a opera di Mario Sironi (Il lavoro, 1933), Massimo Campigli (Le madri, le contadine, le lavoratrici, 1933) e Giorgio de Chirico (La cultura italiana, 1933). Sorte diversa toccò invece al mosaico parietale di Gino Severini, Le Arti (1933), ancora in loco. Il contributo di Funi per la V edizione della Triennale non si esaurì tuttavia qui: oltre ai Giochi, firmò il bozzetto preparatorio per il mosaico la Cavalcata delle Amazzoni (1933), messo in opera dall’allieva Leonor Fini. Quest’ultimo è ancora in situ, come decorazione pavimentale musiva dell’atrio al pian terreno dell’edificio.
La sacralizzazione delle politiche totalitarie dell’Uomo nuovo attraverso le arti
La fabbricazione della realtà dell’Uomo nuovo tramite la creazione di mitologie nazionali
Il monumentalismo, ovvero la visualizzazione di soggettività e oggettività
All’inizio degli anni Trenta, l’arte italiana assecondata dal regime andava assumendo un’identità propria in ciascuno dei due centri principali, Roma e Milano. Mentre Roma si qualificava come 'sede della cultura ufficiale', Milano diventava un 'centro di aperture culturali nei confronti dell’estero, ritenute eccessive e deleterie' (Weber 1990, 29) da parte della frangia più conservatrice del regime, radunata attorno al periodico Regime Fascista. Rivista, questa, che aveva scagliato forti critiche nei confronti delle decorazioni murali eseguite per la V Triennale di Milano (1933), ritenute eccessivamente ricettive nei confronti delle novità pittoriche europee. La campagna decorativa era stata orchestrata da Mario Sironi, che in quello stesso anno – insieme a Campigli, Carrà e Funi – aveva redatto e firmato il Manifesto della pittura murale. In esso si rendeva esplicito il desiderio di abbracciare un’arte capace di creare un rapporto intimo e biunivoco tra architettura e pittura: per questo egli chiamò a raccolta trenta artisti che, in quanto responsabili del programma decorativo di Palazzo dell’Arte, si dovevano misurare con il tema generale dell’Italia fascista. Nonostante il risultato fosse ritenuto parzialmente deludente a causa dell’eterogeneità degli stili e della scarsa conoscenza tecnica da parte degli artisti, il complesso pittorico e musivo fu in grado di diffondere il ‘verbo fascista’ a un vasto pubblico, di settore e non.
Giochi atletici italiani di Achille Funi rientrò proprio in tale contesto, in quanto decorazione pittorica di una delle sale principali dell’edificio, il Salone delle Cerimonie situato a pian terreno. Il tema sportivo, caro al regime per il suo forte potenziale persuasivo nei confronti delle masse e affrontato nella stessa edizione della Triennale anche dalle pitture di Giuseppe Montanari, venne tradotto da Funi in termini universali e storicamente trasversali. Il legame tra passato e presente venne risolto attraverso una partizione in due registri: in quello inferiore una quinta architettonica con statue antiche (la Venere di Milo, il Discobolo e la Hera Barberini) ospitava alcuni nudi maschili, chiaramente degli atleti, mentre si cimentavano in sport classici. In quello superiore, in un’ambientazione quasi astratta, dominata dalla personificazione dell’Italia fascista (tiene tra le mani un fascio littorio), alcuni uomini praticavano discipline sportive moderne. La glorificazione della nazione e, per traslato, del suo governo, avveniva dunque in virtù di quella discendenza prestigiosa che vincolava il popolo italiano alla matrice culturale mediterranea, greca e poi latina – da cui il fascismo attinse a piene mani.
Exemplum antico che Funi era riuscito a ricreare tramite una conoscenza approfondita dell’arte e della cultura del passato. Tuttavia, i riferimenti e i rimandi non si esaurivano nella sola citazione storicistica. Come aveva notato Susanne Weber, la possenza monumentale della personificazione italica rimandava alle ricerche classicistiche che Picasso aveva compiuto nel corso degli anni Venti (ad esempio, Due donne che corrono sulla spiaggia, 1922). E il tema sportivo si ricollegava certamente a uno dei più importanti cantieri architettonici del periodo, quello del romano Foro Italico di Del Debbio (1927-1933). La monumentalità murale veniva quindi utilizzata da Funi come unico linguaggio possibile per imporre (indirettamente) un imperativo politico: solo attraverso un aumento progressivo delle proporzioni, solo attraverso la grandiosità era possibile creare un’epopea epica di età contemporanea.
Colombo, Nicoletta. 2013. '"Pittori di muraglie". Voci e vicende della pittura murale negli anni Venti e Trenta'. In Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre. Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale: 59-67.
Margozzi, Mariastella. 2013. 'Lo sport nell’arte degli anni Trenta'. In Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre. Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale: 81-88.
Weber, Susanna. 1990. Achille Funi e la pittura murale fra le due guerre. Firenze: SPES.
Silvia Colombo