Mario Sironi, La Giustizia tra la Legge e la Forza (1939)
Il grande mosaico La Giustizia tra la Legge e la Forza, situato all’interno dell’Aula della Corte d’Assise d’Appello al primo piano del milanese Palazzo di Giustizia, è a firma di Mario Sironi. Ideata a partire dal 1936, l’opera fu eseguita in una prima versione su cartoni preparatori, per essere presentata ufficialmente nel 1938, e poi messa in opera entro l’anno successivo. La personificazione della Giustizia, rappresentata da una donna con veste bianca e gladio romano in una mano, affiancata dal suo attributo – la bilancia –, occupa il centro della scena. Sulla destra sono riconoscibili la personificazione della Legge (una donna con le tavole legislative tra le mani) e una donna seminuda, incarnazione della Verità; a sinistra la personificazione della Forza – un uomo possente e muscoloso – affiancata dai simboli romani e fascisti (il fascio littorio, l’aquila nera e un’insegna legionaria). Attualmente il fascio littorio non è del tutto visibile: dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo fu sottoposto ad un processo censorio, che optò a favore della sua abrasione. L’opera è documentata anche con il titolo La Giustizia armata con la Legge.
La sacralizzazione delle politiche totalitarie dell’Uomo nuovo attraverso le arti
La fabbricazione della realtà dell’Uomo nuovo tramite la creazione di mitologie nazionali
Il monumentalismo, ovvero la visualizzazione di soggettività e oggettività
Nel mosaico La Giustizia tra la Legge e la Forza, caso emblematico della carriera da muralista di Mario Sironi, si possono facilmente rintracciare le linee guida del suo operato pubblico. Messe a punto per un’aula di Palazzo di Giustizia, anche queste 'decorazioni murali rispondevano alla richiesta di un’arte politica che non soltanto celebrava la dottrina fascista attraverso l’immagine e l’azione, ma trasformava le coscienze grazie ai poteri mitici della rappresentazione' (Braun 2003, 204-205). Attraverso l’unione tra le arti – l’architettura, il disegno e il mosaico, ma anche la scultura, tradotta nella struttura massiccia dei corpi – Sironi fu in grado di plasmare un messaggio chiaro, anche se solo apparentemente spontaneo: dietro a ogni composizione destinata alla pubblica fruizione, si celava un accurato studio relativo alle figure, alle loro relazioni reciproche, ma anche alla struttura, al simbolo e allo stile.
Interessato a ogni fase di questo processo, l’artista intendeva creare una ‘mitologia nazional-popolare’ che, pur prendendo spunto dal passato – soprattutto romano e bizantino – riuscisse a trovare un proprio contesto nel presente fascista. A differenza di Carrà, che nei due affreschi per il Palazzo di Giustizia (Giustiniano dà nuove leggi e libera uno schiavo Giudizio Universale) abbandonò ogni simbologia esplicitamente fascista, Sironi riversò la sua fede politica in numerosi dettagli dell’opera. Il gladio attribuito alla Giutsizia, ad esempio, ma anche il fascio littorio e l’aquila imperiale erano icone romane che il regime aveva adottato, specialmente nella sua fase imperiale, facendole sue. Nel loro insieme, esse rappresentavano la forza: ma attenzione, si trattava di una (pre)potenza impositiva, che a sua volta legittimava nemmeno troppo implicitamente l’uso della violenza (come nel caso del delitto Matteotti, 1924). Ad avvalorare questa visione era proprio la personificazione della Forza, rappresentata da un uomo possente, muscoloso e seminudo, proprio come un gladiatore-lottatore romano (si rimanda al Mosaico del Gladiatore di Villa Borghese, a Roma, ad esempio – IV secolo). Oltre a sancire una prospettiva decisamente maschilista, essa costituiva un vero e proprio modello fisico e corporale, da imitare e, possibilmente, da raggiungere. Di conseguenza, anche il modello femminile, rappresentato dalla Giustizia, dalla Legge e dalla Verità, venne reso più virile, attraverso una corporeità poderosa, forse appena ingentilita in corrispondenza della donna-Veritas.
Il muro, quindi, diveniva un supporto pensato per rivolgere un messaggio, un insegnamento alla collettività. Lo stile limpido, ieratico e monumentale, caratterizzato da un’assenza prospettica che si accompagnava a una innegabile staticità, nei movimenti e negli sguardi severi, si allontanava da ogni mimetismo. Se, da un lato, la politica era il tessuto su cui la composizione venne costruita, dall’altro il riferimento storico e antico diventava un esempio a cui guardare.
Braun, Emily. 2003. Mario Sironi. Arte e politica in Italia sotto il fascismo. Torino: Bollati Boringhieri.
Bernabò, Massimo. 2017. 'Bisanzio negli anni trenta del Novecento: il palazzo di Giustizia di Milano.' Arte Lombarda nn. 1-2, Milano: Vita e Pensiero.
Gian Ferrari, Claudia. 2002. Sironi. Opere 1919-1959. Milano: Charta.
Silvia Colombo