Giuseppe Pagano, Istituto di Fisica dell’Università Sapienza (Roma, 1932-1935)
Nel 1932, Pagano venne chiamato da Marcello Piacentini per occuparsi della realizzazione dell’Istituto di Fisica presso l’Università Sapienza di Roma. Situato lungo uno dei due assi principali del complesso architettonico, quello che conduceva verso piazza della Minerva, l’edificio si inserì in maniera armonica rispetto al contesto. Il risultato prevedeva un corpo architettonico semplice, senza decorativismi e con proporzioni standard, ripartito internamente in base alla funzionalità degli spazi: le due sezioni principali, di Fisica Superiore di Fisica Sperimentale, contavano un totale di 237 ambienti. All’esterno il complesso volumetrico, rivestito in litoceramica color mattone e con zoccolatura in travertino, si sviluppava visivamente attorno a una torretta prominente. Elemento principale ‘interno’ era una corte circondata da un porticato su pilotis; le aule e gli uffici interni vennero anch’essi costruiti con materiali moderni e ‘autarchici’, dalla pavimentazione in linoleum al rivestimento ceramico dei laboratori, fino all’arredamento in legno di rovere. Nonostante alcune modifiche alle quali l’edificio andò incontro a partire dalla fine degli anni Sessanta, l’Istituto di Fisica mantiene a tutt’oggi la sua originaria funzione.
La costruzione della realtà spaziale nella dimensione urbana dell’uomo nuovo
La razionalizzazione narrativa: la costruzione di uno spettacolo collettivo
Mentre Gio Ponti era alle prese con la Scuola di Matematica, Giuseppe Pagano si occupava del progetto per l’Istituto di Fisica presso la Città Universitaria di Roma. Differentemente dal primo, Pagano si mise al lavoro su un progetto più unitario e plastico, eretto entro il limite spaziale dall’impianto planimetrico riorganizzato da Piacentini. Il dipartimento si presentava quindi come un blocco unico dalle diverse altezze e prominenze. Lo stesso architetto affermò: 'Per avvicinarmi a questo ideale di unità concreta e non soltanto apparente ho studiato le piante in modo da bloccare l’edificio entro volumi ben definiti dove, al valore dei pieni, il vuoto corrisponda come indispensabile complemento di ritmo' (Saggio 1984, 58). Esso, dunque, era un insieme armonioso, che alternava pieni e vuoti, aggetti e rientranze, per poi aprirsi su spazi interni nitidamente distribuiti. I laboratori e le officine di Fisica Superiore, collocati al piano terreno e rialzato, erano ad esempio assiepati l’uno in fila all’altro, ma concepiti come unità indipendenti.
Una struttura del genere si poneva in linea con l’organizzazione più aggiornata della disciplina, tenendo conto dei differenti settori e dipartimenti, delle esigenze di studenti e professori. Questa lineare praticabilità degli spazi era presente all’interno di uno stesso edificio, così come tra un corpo e l’altro. Essi erano infatti collegati da rampe di scale e ascensori che permettevano un raccordo complessivo tra aule, piani e sezioni. Come già nel caso di Ponti, anche l’Istituto di Fisica diventa un nucleo, una sorta di quartiere dedicato al sapere scientifico, a sua volta situato in un complesso architettonico più vasto e strutturato che andava a comporre un ‘villaggio della conoscenza’, vicino agli ideali della propaganda fascista. Seppur cromaticamente vivacizzato dalla presenza della litoceramica color mattone, l’edificio era sobrio, privo di qualsiasi simbologia di regime: il dipartimento a firma di Pagano diventava luogo di conoscenza e spettacolo collettivo per una gioventù da formare secondo i principi della fisica, e della politica.
Rossi, Piero Ostilio. 2012. Roma, Guida dell’architettura moderna, 1909-2011. Roma-Bari: Laterza.
Saggio, Antonino. 1984. L’opera di Giuseppe Pagano tra politica e architettura. Bari: Edizioni Dedalo.
Silvia Colombo