Piero Portaluppi Enrico Agostino Griffini, Giovanni Muzio, Vico Magistretti, Arengario (Milano, 1936-1956)


Descrizione

La progettazione di piazza Duomo, avviata dall’architetto Giuseppe Mangoni nella seconda metà dell’Ottocento, durante il primo trentennio del Novecento risultava ancora incompleta. Per ovviare a tale situazione, nel 1936 venne indetto un concorso, i cui vincitori risultarono gli architetti Piero Portaluppi, Enrico Agostini Griffini, Giovanni Muzio e Vico Magistretti. La loro proposta prevedeva la costruzione di due ‘edifici gemelli’ nell’area prima occupata dalla ‘Manica Lunga’ di Palazzo Reale, che era appena stata demolita. Questi due corpi antistanti la Galleria, che dovevano rappresentare il nuovo centro rappresentativo del potere politico della città, avevano una struttura in cemento armato, rivestita da marmo di Candoglia. La loro severa presenza era alleggerita dal porticato a livello della strada e dalle finestre ad arco a tutto sesto dei piani superiori. Il primo livello era decorato ad altorilievo da Arturo Martini (1940-1942) che raffigurò episodi significativi della storia di Milano – dal costantiniano Editto di Milano a San Carlo Borromeo – scolpiti in marmo di Carrara. Nell’edificio di sinistra si trovava il vero e proprio arengo (poi eliminato dopo la guerra, nel 1947), luogo in cui si sarebbero dovuti tenere i discorsi pubblici di Mussolini di fronte alla cittadinanza, adunata nella piazza antistante. Ancora incompleto allo scoppiare della Seconda guerra, l’Arengario venne danneggiato dai bombardamenti alleati e lasciato allo stato di abbandono a causa della sua presenza ‘scomoda’ nel contesto cittadino. Nel corso degli anni Cinquanta il complesso venne adibito a funzione pubblica, ospitando gli uffici provinciali dell’Ente del Turismo. A partire dal 2001, venne poi sottoposto a un complessivo progetto di restauro condotto dall’architetto Italo Rota e finalizzato all’apertura del Museo del Novecento, inaugurato nel 2009.

Principi

  1. La sacralizzazione delle politiche totalitarie dell’Uomo nuovo attraverso le arti

  2. La fabbricazione della realtà dell’Uomo nuovo tramite la creazione di mitologie nazionali

  3. Il monumentalismo, ovvero la visualizzazione di soggettività e oggettività

Analisi

Il palazzo dell’Arengario, sorto nel cuore di Milano durante la parabola (quasi) discendente del regime, incarnava il passaggio tra due fasi storiche della città: le vicende passate e il presente fascista. In una posizione visualmente e architettonicamente preminente, esso riusciva a dialogare con il tessuto urbano della piazza senza creare interruzioni: ben collegato alla piazzetta Reale tramite una scalinata esterna, rimandava al Duomo in virtù del rivestimento in marmo di Candoglia (lo stesso usato per la cattedrale) e faceva da contraltare, da bilanciamento alla Galleria Vittorio Emanuele.

Progetto collettivo a firma di alcuni degli architetti più in voga del momento, si concretizzò in due ‘edifici-gemelli’ che fungevano da quinte teatrali per la neonata piazza Diaz. Al palazzo sulla sinistra, che avrebbe dovuto ospitare alcune stanze di rappresentanza (la sala dei Gagliardetti, la Galleria delle Statue e delle Lapidi) e il vero e proprio affaccio sulla piazza per le adunate pubbliche, faceva eco quello sulla destra, con una funzione simmetrico-costruttiva. Nel complesso, seppur frutto di un lavoro corale, l’edificio lasciava trapelare gli elementi caratterizzanti ciascuno degli architetti, come ad esempio le ‘muziane’ arcate a tutto sesto, che ricorrevano anche nella Ca’ Brutta o nel Palazzo dell’Arte , oppure la solida geometria di Portaluppi, presente in altri lavori come il Planetario Hoepli di Milano.

Contribuendo alla risistemazione di un punto nevralgico della città, questo edificio si risolveva in un dono ai cittadini, ma anche nell’incarnazione della politica fascista, costruita sulla spettacolarità, e sulla commistione di poli opposti come antico e moderno, tradizionale e innovativo, sacro e profano. Pur costruito come un doppio parallelepipedo, geometrico ed essenziale nelle forme, esso intendeva stabilire chiari legami con la componente progressista e laica della società, ma voleva entrare in contatto anche con il suo aspetto religioso e conservativo. Ciò è suggerito, in particolare, dall’uso dei materiali, ma anche dal programma iconografico della decorazione scultorea condotta da Martini, che si rifaceva più da vicino alle vicende passate di Milano, affrontate con un taglio decisamente ‘spirituale’. Il tutto concepito in senso monumentale, come una sorta di pulpito gigantografico pronto ad accogliere la figura di Mussolini, in occasione dei discorsi pubblici e delle adunate. L’intenzione, in questo modo, era quella di guardare a un ampio spettro della società del tempo, accattivandosi i favori di gruppi diversi, attenti alla modernità come ai valori più tradizionali.

Bibliografia

Savorra, Massimiliano. 2003. 'Una scenografia mancata: l’arengario e la piazza Duomo a Milano negli anni Trenta'. In L’architettura nelle città italiane dagli anni Venti agli anni Ottanta del XX secolo. Ricerche, analisi, storiografia, a cura di Franchetti Pardo, Vittoriom, 54-60. Milano: Jaca Book.

Silvia Colombo