Renato Guttuso, La Crocifissione (1941)


Descrizione

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma conserva oggi una delle opere più celebri che l’artista siciliano Renato Guttuso eseguì nel 1941: La Crocifissione, un olio su tela di formato regolare (200 x 200 cm). Raffigurazione di un tema sacro al vertice del pathos – Gesù crocefisso insieme ai due ladroni – fu realizzata assecondando uno stile figurativo moderno e dissacrante: per questo, da principio, non fu accettata alla IV edizione del Premio Bergamo (1942). Ma quando poi, infine, fu ammessa, si aggiudicò il secondo premio, pur suscitando grande scalpore. A colpire il pubblico, la critica e la Chiesa furono in particolare le deformazioni espressioniste delle figure e del paesaggio, ma anche la presenza di nudi – specialmente quello della Maddalena.

Principi

  1. La legittimazione della partecipazione dell’artista/intellettuale nella sfera pubblica

  2. Il ruolo del cosmopolitismo nella modernizzazione del campo artistico italiano

  3. La manipolazione mediatica dei cittadini: intrattenimento, evasione e consenso

Analisi

Il Premio Bergamo, voluto dal ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, si distinse per la capacità di cogliere la modernità artistica di alcuni lavori presentati dai suoi partecipanti. Distante dall’analogo Premio Cremona, più conservatore – come dimostrato, ad esempio, dal primo premio assegnato al Grano di Pietro Gaudenzi nel 1940 –, esso si svolse in quattro edizioni, dal 1939 al 1942. L’ultima e quinta, prevista per il 1943, fu annullata a causa dei bombardamenti e l’edizione postuma del 1959 non ottenne un grande successo.

Era questo il contesto, piuttosto innovativo ma pur sempre politicizzato in senso fascista, in cui è necessario considerare il dibattito e lo scandalo suscitati da un’opera come La Crocifissione (1941) di Renato Guttuso. Una parte degli esperti di settore, la frangia cattolica e il pubblico forse non erano pronti per accogliere un’opera come questa, che incarnava il fermento artistico e lo spirito internazionale di un artista libero, politicamente militante e appena uscito dall’esperienza del gruppo milanese Corrente. Ad esempio, la componente longhiana della critica, rappresentata in particolare da Francesco Arcangeli, definì La Crocifissione la 'radice malata' dell’arte moderna. L’opera, a quel tempo, venne probabilmente ritenuta ‘scomoda’ in quanto politicamente impegnata e dotata di una identità blasfema e scabrosa, ma anche di una componente compositiva al limite della leggibilità.

Tale aspetto fece purtroppo passare in secondo piano la portata internazionale e innovatrice rappresentata dalla Crocifissione, solo parzialmente riconosciuta dall’assegnazione di un secondo posto al Premio Bergamo. Tuttavia, il primo premio, quello davvero rappresentativo dello spirito dell’epoca e della manifestazione stessa, non poteva che andare a un’opera rassicurantemente tradizionale come La famiglia in campagna (1942) di Francesco Menzio.

Ben distante da questo bucolico quadro familiare, la tela di Guttuso fu il risultato di riflessioni personali sull’arte del presente e del passato. L’impianto compositivo inusuale riecheggiava, anche se in maniera più drasticamente esasperata, la Crocifissione di Antonello da Messina (1475) o il Cristo in croce tra i due ladroni di Rembrandt (1660 circa). La tavolozza, brillante e accesa, così come il dolore esasperato dei personaggi, erano richiami diretti al manierismo italiano, e in particolare a un lavoro come la Deposizione dalla croce di Rosso Fiorentino (1521). Sicuramente più recenti i rimandi a Picasso, rintracciabili sia nella natura morta in primo piano, di chiara matrice cubista, sia nella drammaticità di alcune figure (come ad esempio il cavallo), avvicinabili a Guernica (1937) – e già presenti in una precedente tela di Guttuso, Fuga dall’Etna (1939). Questo spettacolo tragico, fortemente espressionista, era un moto centripeto doloroso che si originava al centro della tela – attorno alla crocifissione – per ripercuotersi poi sugli altri personaggi. Se il dolore di uno doveva allora rappresentare il dolore di tutti, quest’opera rivolgeva un quesito ambiguo alla società fascista del tempo, nel pieno del conflitto: chi era la vittima e chi il carnefice?

Bibliografia

Carapezza Guttuso, Fabio e Susanna Zatti (a cura di). 2016. Guttuso. La forza delle cose. Milano: Skira.

Salvagnini, Sileno. 2000. Il sistema delle arti in Italia 1919-1943. Bologna: Minerva Edizioni.

Silvia Colombo