Alessandro Blasetti, 1860 (Italia, 1934)
Nella Sicilia del 1860 l'esercito borbonico sopprime duramente la rivolta dei contadini, che attendono di essere liberati da Garibaldi. Carmeliddu viene allora inviato sul continente per sollecitare un intervento presso il colonnello Carini. Deve così abbandonare l'amata Gesuzza, che viene catturata e rischia la fucilazione. Dopo un pericoloso viaggio per mare, il "picciotto" risale in treno da Civitavecchia a Genova e raggiunge Carini, ma le difficoltà nell'allestimento della spedizione militare mettono a repentaglio l'impresa. Superati gli ostacoli, i Mille salpano da Quarto, sbarcano a Marsala e avanzano in terra siciliana. Carmeliddu riabbraccia Gesuzza, prima di partecipare alla battaglia di Calatafimi.
La sacralizzazione delle politiche totalitarie dell’Uomo nuovo attraverso le arti
La fabbricazione della realtà dell’Uomo nuovo tramite la creazione di mitologie nazionali
Il monumentalismo, ovvero la visualizzazione di soggettività e oggettività
1860 è un'opera emblematica dell'urgenza mitopoietica e del piano di comunicazione di un regime che, anche attraverso il cinema, ambiva a costruirsi una memoria e porsi come punto d'arrivo della storia patria. A partire dal 1928, anno della pubblicazione della Storia d'Italia dal 1871 al 1915 di Benedetto Croce, il fascismo tentò infatti di accreditarsi come erede naturale del Risorgimento, che il film di Blasetti (prodotto dalla Cines per il cinquantenario della morte di Garibaldi e sceneggiato dal regista assieme a Gino Mazzucchi ed Emilio Cecchi) affronta da un punto di vista inedito, quello dei contadini siciliani. Del Risorgimento si presenta quindi un'interpretazione populista (come testimonia l'attenzione che la prima parte della pellicola dedica alle sollevazioni "spontanee" nelle campagne), con lo scopo evidente di superare le diffidenze nei riguardi di un processo considerato anche in ambito fascista prevalentemente elitario e 'borghese'. Com'è ovvio, questa chiave di lettura è propedeutica all'appropriazione di quella memoria da parte del regime, stabilendo una continuità tra fermenti "rivoluzionari" risorgimentali e "rivoluzione" fascista: a tale proposito risulta rivelatrice l'ultima scena, che mostra alcuni reduci garibaldini al Foro italico mentre salutano una sfilata di camicie nere. Tuttavia, questi intenti ideologici non diventano mai retorica: Blasetti realizza un racconto moderno che procede per forza di immagini, utilizza giustapposizioni ed ellissi e descrive la frammentazione linguistica di un paese in costruzione, riflettendo sulle diverse componenti popolari e ideologiche della spedizione (il mazziniano, il giobertiano, l'autonomista). Il tema storico si presta così alla riscoperta di un paesaggio geografico e umano intriso di umori fortemente dialettali, reso con un realismo spoglio ed efficace che continuò a essere apprezzato anche dopo la caduta del fascismo come esempio di epica nazional-popolare (tanto da essere considerato un'anticipazione del Neorealismo). In ogni caso l'ammirazione per l'aspetto cinematografico dell'opera non le risparmiò nel 1951 un rimontaggio che la accorciò di 5 minuti: furono aggiunti un commento fuori campo e un doppiaggio che sfumava le asprezze della parlata siciliana, ma soprattutto dalle copie in circolazione nel dopoguerra fu espunto il finale che univa in un abbraccio ideale camicie rosse garibaldine e camicie nere fasciste.
Brunetta, Gian Piero. 2009. The History of Italian Cinema: A Guide to Italian Film from Its Origins to the Twenty-first Century. Princeton: Princeton University Press.
Gori, Gianfranco. 1983. Blasetti. Firenze: La Nuova Italia - Il castoro.
Marco Toscano