Ruggero Vasari, L’angoscia delle macchine, (1927)
L’angoscia delle macchine, 'sintesi tragica in tre tempi' del futurista Ruggero Vasari, fu concepita intorno al 1921, pubblicata nel 1925 e messa in scena con grande successo a Parigi nel 1927. L’allegoria tragica di L’angoscia delle macchine è ambientata in un pianeta perfettamente organizzato secondo criteri scientifico-tecnologici, la cui società è governata da tre despoti, che dalla “centrale aerea” esercitano il loro potere assoluto a livello interplanetario. Una macchina-cervello impartisce gli ordini agli uomini trasformati in robot. In tale società le donne, “sesso inutile”, sono esiliate su un altro continente in quanto simbolo di umanità e quindi di debolezza. Dei tre despoti Tonchir è tuttavia soggetto a tormenti interiori: l’incubo della morte, la percezione della violazione delle leggi e dell’equilibrio naturali, la follia della schiavizzazione degli uomini alle macchine. Nel terzo e ultimo atto Tonchir perde il controllo della macchina-cervello e muore; con lui si distrugge irrimediabilmente il mondo degli automi.
La nuova teorizzazione della relazione tra soggettività e oggettività
La razionalizzazione estetica: la linea retta e la linea errante
Io vado al di là del Futurismo perché mentre da un lato esalto la macchina dall’altro ne provo orrore! E perché? Perché la meccanizzazione distrugge lo spirito! Quando lo spirito è morto, anche l’uomo è morto o resta l’automa senza vita, senza desideri, senza gioie […] (Lettera di Vasari a Gugliemo Jannelli, 1931).
Siciliano di nascita, Vasari frequentò gli ambienti dell’avanguardia di Berlino negli anni Venti, dove lavorò come corrispondente dell’Impero per le arti e fondò una Casa d’Arte e una rivista, il mensile Der Futurismus. A Berlino creò una fitta rete di contatti che gli permisero di fare da tramite culturale tra il movimento futurista e i circoli espressionisti, ed altre forme dell’avanguardia europea. Tale intenso scambio con le avanguardie europee contribuì a formare la sua attitudine e poetica innovativa, non solo nel campo del teatro. Per la convergenza tra tematiche e spunti futuristi ed espressionisti che si riscontra nella sua opera, fu definito un artista e intellettuale 'futur-espressionista' (Barsotti 1990, 100).
Il Il cicle delle macchine (che comprende L’angoscia delle macchine e Raun) costituisce una critica e un superamento della retorica marinettiana basata sull’esaltazione della macchina. Vasari mette in discussione il modello futurista di un progresso tecnologico incontrollato e riflette sulle conseguenze che ciò potrebbe avere sull’umanità. Parallelamente, Vasari affronta la degenerazione del rapporto uomo-macchina dal punto di vista delle sue implicazioni di genere, dipingendolo come il conflitto tra la “genialità” tecnologica maschile, messa al servizio della prepotenza, e l’umanità femminile oppressa ed annichilita. Con il suo immaginario visivo-poetico e la sua visionarietà fantascientifica, L’angoscia delle macchine può essere considerato presupposto fondamentale del noto film Metropolis di Fritz Lang, del 1926.
Tra le priorità del lavoro di Vasari nel campo del teatro, vi era l’esigenza razionalizzante di collegare il più possibile l’operazione drammaturgica e quella scenica, il linguaggio poetico e quello visivo. In L’angoscia delle macchine, questo si esprime nella simultanea predominanza dei dialoghi come motore dello sviluppo narrativo, che si intreccia con il valore estetico di un apparato visivo di gusto fantascientifico. L’autore prefigurò anche una recitazione volta alla disumanizzazione dei personaggi; nel commento scenico contenente indicazioni per il maestro di scena, scrisse che “la recitazione deve essere metallica (chiara, precisa, tagliente, rigorosa) […] La mimica deve essere marionettizzata, meccanica […] Ogni attore porti una maschera più o meno mobile con varia sovrapposizione di elementi plastici”.
Non soprende che Vasari abbia pensato a Enrico Prampolini come “scenarchitetto” del dramma, o almeno questo si suppone da quello che scrisse su una antologia stampata nell’agosto 1923 per le Edizioni Noi: 'Di prossima pubblicazione: L’angoscia delle macchine, Sintesi teatrale futurista in 4 tempi. Scene di Enrico Prampolini'. Tuttavia, per la rappresentazione del 1927, Vasari sceglie come designer Vera Idelson, una pittrice russa con cui aveva già collaborato in precedenza. Lo scenario combina l’inserimento di forme geometriche e semi-astratte con parti meccaniche prelevate da fabbriche o e laboratori, ricordando l’arte polimaterica di Prampolini e dei futuristi.
Dopo che alcuni progetti di messinscena fallirono, il testo debuttò finalmente il 27 aprile 1927 grazie al gruppo Art et Action, che aveva in precedenza mostrato interesse per alcuni lavori futuristi, con la regia di Marie Louise Van Veen. I costumi di Vera Idelson, realizzati con cartone, legno, alluminio e stoffa, vennero razionalizzati al massimo, ridotti a silhouette rigide che si spostavano sul placoscenico solo parallelamente al fondale, muovendosi per mezzo di cerniere. Tale operazione simbolizzava la disumanizzazione e meccanizzazione dei personaggi ed escludeva i protagonisti Tonchir e Lipa, che manteneveano delle caratteristiche di umanità. Il 9 agosto 1927 su L’Impero uscì una recensione anonima dello spettacolo, verosimilmente scritta o ispirata dallo stesso Vasari, anche per la parziale coincidenza con il commento scenico da lui redatto, e che quindi si può considerare come una interpretazione “ufficiale” della messinscena e una sorta di dichiarazione di intenti:
Van Veen presentò il dramma in una cornice e atmosfera completamente astratte. La voce degli attori era deformata in modo da dare l’impressione che non erano uomini a parlare, ma supermarionette. […] Recitazione metallica precisa tagliente. Nessuna enfasi, nessuna > declamazione, nessun pathos. Anche la mimica marionettizzata fu di grande effetto. Creò le scene e i costumi lo scenarchitetto russo V. Idelson. La scena si presentò come una combinazione di elementi plastici differenti, per dare la massima varietà di luce, e piani bidimensionali dipinti. Colori dominanti: nero e argento. Gli attori erano nascosti dietro costumi rigidi bidimensionali, parte integrante del dinamismo costruttivo dell’insieme, che muovevano solo alcune parti senza riferimento a nessuna delle parti del corpo.
Barsotti, Anna. 1990. Futurismo e avanguardie nel teatro italiano tra le due guerre. Roma: Bulzoni.
Bottoni, Luciano. 1999. Storia del teatro italiano, 1900-1945. Bologna: il Mulino.
Lista, Giovanni. 1989. Lo spettacolo futurista. Firenze: Cantini.
Verdone, Mario. 1999. Avventure teatrali del Novecento. Soveria Mannelli: Rubbettino Editore.
Verdone, Mario. 1970. Teatro italiano d’avanguardia. Drammi e sintesi futuriste. Roma: Officina.
Vasari, Ruggero. 2009. L’angoscia delle macchine e altre sintesi futuriste, a cura di Maria Elena Versari. Palermo: Duepunti.
Laura Pennacchietti