Mario Sironi, Paesaggio urbano (1922)


Descrizione

Durante i primi anni Venti, Sironi realizzò una serie di Paesaggi urbani non datati, tra cui anche la presente opera, un olio su tela che può essere indicativamente datato attorno al 1922. L’opera, documentata anche dalla Braun in una versione leggermente diversa (Braun 2003, 59), mostra il dettaglio di una via, sulla quale si affacciano alcune abitazioni. In sintesi, un pedone (una donna, come riporta il titolo nel libro della Braun, Paesaggio urbano con donna e tram (1919-1920) sta per attraversare la strada dove nel frattempo passa un tram.

Principi

  1. L’arte di Stato: modernità e modernizzazione

  2. I limiti del realismo: la costruzione di individualità collettive

Analisi

Sironi dipinse i Paesaggi urbani subito dopo la Grande guerra, quando l’artista era appena rientrato a Milano poiché, guardandosi attorno, si era reso conto di quanto la città stesse cambiando. Come suggerisce il titolo – un’antitesi costituita dall’attrito tra componente rurale e cittadina –, questa serie di opere intendeva rappresentare la modernizzazione di una città attraverso un paradosso. Sironi, infatti, voleva cristallizzare, riportandolo su tela, il dinamismo intrinseco allo spazio urbano allora in divenire. Il tema della città non era certo una novità nel campo delle arti: essa, assurta a protagonista con le rappresentazioni dell’Impressionismo francese di fine Ottocento, continuò a rivestire una certa importanza anche durante gli anni del Futurismo.

In quanto sinonimo di modernità in costante cambiamento, la città permetteva ai suoi abitanti di accedere (certamente non sempre) a un certo status sociale, a nuovi ritmi di vita e a nuove forme di intrattenimento. Rispetto alla visione più positiva e talvolta giocosa restituita da artisti come Boccioni (La città che sale, 1910) o Gino Severini (Ballerina in giallo, 1912) nell’anteguerra, Sironi adottò un nuovo punto di vista, decisamente più critico. Attraverso una tavolozza dai toni scuri, spenti, e composizioni volumetriche dove gli edifici si affastellavano in sequenza, gli uni dietro agli altri, l’artista voleva forse denunciare la situazione sociale di un luogo immoto e a tratti estraniante. A questo proposito, Emily Braun parla del pessimismo sironiano come di una delle componenti del nazionalismo che, di lì a poco, avrebbe portato all’ascesa inarrestabile del regime fascista. 'Gli spazi cittadini di Sironi sono allo stesso tempo alienanti e autoritari […] La tensione visiva presente nei paesaggi urbani deriva dall’apparente convergenza di due diversi linguaggi, quello del futurismo e quello della pittura metafisica' (Braun 2003:58).

Questo è il messaggio che sembra voler trasmettere anche il Paesaggio urbano del 1922. La modernità era ormai stata raggiunta, la vita dell’uomo moderno aveva preso il sopravvento, ed era avviata verso una dimensione collettiva che avrebbe schiacciato la soggettività. Alle case basse, di campagna, si sostituivano i palazzi collettivi, organizzati su più piani, e la circolazione avveniva più velocemente grazie ai mezzi pubblici, alla modernizzazione sociale, che servivano i quartieri della città e collegavano la periferia al centro. Tutto ciò a quale prezzo? La Rissa in Galleria (1910) di Boccioni, brulicante di luci e di persone, sembrava aver lasciato spazio al silenzio di una città ferma, quasi post-apocalittica, dove anche il tram e la donna sono congelati, immobili. Sironi aveva deciso di abbandonare le figurazioni piatte e astratte care al Futurismo per avvicinarsi a un linguaggio più semplice: questo perché l’'uso ironico della tradizione' si schierava e allineava 'al servizio della nuova politica di massa' (Braun 2003, 77).

Bibliografia

Braun, Emily. 2003. Mario Sironi. Arte e politica in Italia sotto il fascismo. Torino: Bollati Boringhieri.

Gian Ferrari, Claudia. 2002. Sironi. Opere 1919-1959. Milano: Charta.

Silvia Colombo