Pippo Rizzo, Il nomade (1929)
Proprio alla fine degli anni Venti, in un momento professionale particolarmente significativo, al limitare tra Futurismo e Novecento, Pippo Rizzo eseguì Il nomade (1929), un olio su tela di grandi dimensioni (161x99 cm) che ritraeva un uomo davanti a un treno. Il soggetto era identificabile con l’amico del pittore, Guido Cesareo. L’opera, che oggi fa parte delle collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Palermo, ottenne un successo critico ed espositivo immediato: in quello stesso 1929 fu esposta in ben due occasioni, una mostra a Roma e una a Palermo.
L’arte di Stato: modernità e modernizzazione
I limiti del realismo: la costruzione di individualità collettive
Il dipinto Il nomade, opera di Pippo Rizzo, può essere considerato un buon esempio di ‘arte di Stato’ per svariati motivi. Innanzitutto, rappresentava un equilibrato compromesso stilistico tra secondo Futurismo e Novecento, due correnti artistiche care al regime, che aveva tentato di proporle al pubblico come espressioni visuali ufficiali del Ventennio – senza i risultati sperati. Proprio in quel momento l’artista aveva deciso di abbandonare le modalità rappresentative futuriste per abbracciare il movimento Novecento, più vicino a una rappresentatività tradizionale e figurativa. L’opera, inoltre, venne eseguita in un anno significativo per il percorso personale di Rizzo: nel 1929 venne chiamato a ricoprire il ruolo di Segretario del Sindacato regionale fascista di Belle Arti della regione Sicilia. Divenendo l’esempio di un artista al servizio dello Stato e fedele alla sua politica, egli andò incontro a un repentino (ma temporaneo) successo espositivo.
L’olio su tela ha come soggetto principale un uomo, raffigurato frontalmente, le mani ai fianchi e il volto improvvisamente girato di profilo, come attirato da qualcosa che all’osservatore non è dato conoscere. Guido Cesareo, questo il nome dell’amico di Rizzo ritratto nell’opera, era ripreso quasi a figura intera, con il corpo che si stagliava davanti a una banchina e al treno che passava (o era fermo in stazione) proprio in quell’istante. Era un ‘nomade’ perché, evidentemente viaggiava, si muoveva, così come dimostra l’ambientazione in cui la figura era inserita: un non-luogo della modernità dove si arriva e si parte (come aveva già preannunciato Boccioni con i suoi Stati d’animo, 1911). Da questa serie di elementi emerge il doppio registro utilizzato dal pittore: se da un lato il tema del treno – e, per esteso, della velocità e della comunicazione – era di chiara matrice futurista, esattamente come la compenetrazione dei piani, dall’altro la maggiore definizione dei volumi e la scelta stessa di genere (un ritratto figurativo) era decisamente più convenzionale. Vicina, questa, tanto a Novecento quanto a un espressionismo di inizio secolo, come quello incarnato dalle figure allungate che camminavano lungo le strade di città rappresentate da Ernst Ludwig Kirchner, uno degli esponenti di Die Brücke.
Negri, Antonello, Bignami, Silvia, Rusconi, Paolo, Zanchetti, Giorgio, e Susanna Ragionieri (a cura di). 2012. Anni ’30. Arti in Italia oltre il fascismo. Firenze: Giunti Editore.
Troisi, Sergio. 1989. Pippo Rizzo. Palermo: Sellerio.
Silvia Colombo